È con questa piccola quanto suggestiva scelta di versi di Sergej Gandlevskij che prende l'avvio la collana de I poeti della Fondazione Brodskij. Un'iniziativa che sarebbe piaciuta al grande poeta insignito del Nobel per la Letteratura. Dopo la sua morte nel 1996, la Fondazione ha dato vita a un sistema di borse di studio che ha permesso a numerosi artisti russi di venire a Roma. Nel decidere di tradurre i loro versi, Claudia Scandura ha voluto chiudere il cerchio, iniziando i lettori italiani alla poesia russa contemporanea. A inaugurare la collana è il sessantatreenne Gandlevskij, considerato dalla critica russa "un classico vivente". Nato a Mosca, ma come il pietroburghese Brodskij, ebreo, libero pensatore, è in lotta contro ogni forma di conformismo: «Meglio che i miei occhi non vedano come il mio tempo/ a stento vada verso la collettivizzazione del non essere». Fedele al "vituperato gioco dell'immaginazione", il poeta riscatta lo squallore del vivere quotidiano in un dialogo ininterrotto con i grandi maestri della letteratura russa, invitandoci a fare lo stesso. Una bellissima lezione.
La piccola raccolta di versi La ruggine e il giallo (Poesie 1980-2011) di Sergej Gandlevskij inaugura la nuova collana poetica dell'editore Gattomerlino «I poeti della Fondazione Brodskij».
Nella prefazione al libro, Maria Sozzani Brodskij spiega il senso e le finalità della nuova iniziativa editoriale. Nel 1995, con l'apporto decisivo di Josif Brodskij, fu avviato il progetto per la creazione di un'Accademia russa attiva a Roma. Più tardi, dopo la scomparsa del poeta nel gennaio del 1996, e a seguito della nascita a New York del Joseph Brodskij Memorial Fellowship Fund con sede distaccata a Roma, furono istituite speciali borse per poeti e artisti russi, che offrissero loro la possibilità di soggiorni di studio e di lavoro creativo nella capitale e in Italia, presso istituzioni amiche (tra esse, l'Accademia americana, quella francese e la Fondazione Bogliasco), in attesa dell'individuazione di un edificio di proprietà della fondazione.
Nel 2010 è apparsa a Mosca, a cura di Claudia Scandura, una ricca antologia dei lavori prodotti dai tanti vincitori della borsa, i testi letterari dei poeti e le riproduzioni delle opere figurative degli artisti. Fra loro, figuravano poeti come Timur Kibirov, Sergej Stratanovskij, Elena Svarc, Michail Ajzenberg e gli artisti Ol'ga Florenskaja e Vadim Zacharov. Tra i vincitori, c'era anche il poeta moscovita Sergej Gandlevskij, una cernita delle sue poesie; nelle belle traduzioni di Claudia Scandura, inaugura ora la nuova collana. Per il lettore italiano, si tratta di un'opportunità unica, che permette di conoscere il significato artistico e culturale di questa importante iniziativa, non soltanto riguardo al senso culturale e esistenziale che caratterizza il viaggio in Italia per tanti intellettuali russi del nostro tempo.
Sergej Gandlevskij è poeta moscovita, filologo di formazione, autore di versi incentrati sul vissuto quotidiano, rimasti a lungo inediti in patria e apparsi nel cosiddetto tamizdat (poté pubblicare in Russia solo negli anni della perestrojka), quando il loro autore – per sbarcare il lunario – svolse numerose professioni, tra le quali anche quella di guardiano notturno.
Oggi Gandlevskij è uno dei poeti russi più apprezzati, non solo per i suoi versi raccolti di recente in un'ampia antologia (2012), ma anche per la sua prosa. Lo dimostra lo scritto autobiografico Passato senza pensieri (il titolo riecheggia scherzosamente quello del celebre libro Passato e pensieri di Aleksandr Herzen). La breve raccolta destinata oggi al lettore italiano offre uno spaccato articolato e pregnante dell'esperienza poetica di Gandlevskij dagli anni ottanta fino ad oggi o quasi (la lirica La romana è del 2011 e si inserisce a pieno titolo nella ricca tradizione della poesia russa dedicata al viaggio in Italia).
Si tratta di versi che risentono, da un lato, dell'atmosfera culturale degli ultimi anni dell'epoca sovietica, quella della poesia underground e del samizdat tra documentarismo e sperimentazione, ma, dall'altro, anche della riscoperta della fioritura poetica modernista d'inizio secolo. I testi di Gandlevskij sono ricchi di rimandi e riferimenti ai grandi poeti del secolo d'argento (in questa raccolta troviamo versi riconducibili a Mandel'stam, e alle figure di Georgij Ivanov e Vladislav Chodasevic). Dopo gli esordi nell'ambito del gruppo moscovita Moskovskoe vremja (Tempo di Mosca), con A. Cvetkov e B. Kenzeev, Gandlevskij ha saputo sviluppare un proprio metodo poetico, assai originale e innovativo nell'ordito lessicale e intonativo e, allo stesso tempo, classico nella struttura metrico-ritmica costruita su di un fine intreccio musicale pervaso di toni filosofico-meditativi.
Fortemente orientata verso la quotidianità, ricca di forme colloquiali, la lirica di Gandlevskij si concentra sul tema della caducità della vita terrena e su quello della morte, cui si oppone il verso poetico, uno strumento di lotta temprata in tutta la sua fragilità e audacia. Poesia come resistenza e sfida.
Lo si evince già in Stanze (1987), testo programmatico che apre la piccola raccolta proposta da Claudia Scandura: «Dopo la morte uscirò dalla città che amo, / E sollevato il muso al cielo, buttate alle spalle le corna, / invaso dalla tristezza, strombazzerò nello spazio autunnale / quello che non riuscivo a esprimere con parole umane».
Sergej Gandlevskij è nato a Mosca nel 1952. Il padre è un intellettuale ebreo, la madre un’impiegata di religione ortodossa, proveniente dalla Siberia. Entrambi sono antisovietici. Comincia a scrivere versi a diciotto anni e si laurea in Letteratura russa. Pubblica soltanto su riviste dell’emigrazione e solo dalla fine degli anni ’80 nella madrepatria. Negli ultimi vent’anni si afferma come uno dei maggiori poeti russi, proponendo diversi volumi fra raccolte di poesie, romanzi e saggi, e la prosa autobiografica Passato e pensieri (2012). Lavora alla radio ed è responsabile del settore critico della prestigiosa rivista russa «La letteratura straniera». Il saggio L’utilità della poesia è stato tradotto, insieme ad altri versi, da Annelisa Alleva nell’antologia Poeti russi oggi (Scheiwiller 2008).
Claudia Scandura, allieva del grande A.M. Ripellino, insegna Lingua e Letteratura russa alla “Sapienza” di Roma. Dal 2000 collabora con la Fondazione Brodsky di New York. Autrice di numerosi saggi, ha curato e tradotto in italiano opere di vari autori russi contemporanei.
Questa poesia è perfettamente russa: l’autoironia per la cechoviana e luminosa banalità della propria esistenza; la finzione di prendere sul serio l’oppressiva burocrazia prima zarista, poi sovietica e poi semplicemente eterna; l’addio alla donna amata, la promessa di ricordarsi in un aldilà visto come «collettivizzazione del non essere», un frustrante ritorno al comunismo dei senza nome. Il destino individuale, la memoria privatissima e l’oro dell’intimità erotica vorrebbero conservarsi, nascosti e irripetibili, ma vanno dichiarati «per esigenze di servizio» alla dogana dell’ultimo espatrio e molto probabilmente gli inflessibili ufficiali di frontiera ci perquisiranno a fondo, sbiancheranno i dossier più gelosamente ricopiati. Forse «è il caso di salutarci in anticipo», dice il poeta. Coltissima e domestica, popolosa di figure quotidiane e raffinata, la poesia di Gandlevskij ha diversi di questi momenti di grazia, in cui le strettoie della Storia si rivelano il migliore punto di osservazione per lo sconfinato paesaggio che scorre fermissimo di lato.
Questo aureo libretto va segnalato perché costituisce una novità assoluta. È, in primo luogo, la godibile traduzione, mirabilmente condotta da Piera Mattei, di alcuni testi meno noti del celebre favolista. Qui splende la sua magistrale padronanza della lingua francese – una lingua esigente al limite della crudeltà e nello stesso tempo dotata di un nitore classico che, forse ancor più dell’italiano, la lega alla comune matrice latina (per esempio, digitus in italiano è dito mentre il francese conserva la «g» in doigt). In secondo luogo, ma è un apporto di grande originalità di Piera Mattei, la figura del favolista viene arditamente e persuasivamente, a mio parere, reinterpretata riscattandola e liberandola dagli stereotipi della morale corrente (secondo Gilbert Keith Chesterton, «la morale che corre») per riscoprire nella sua opera, come osserva la curatrice, «le impronte di una cultura non metodica ma estremamente curiosa e varia», aperta a «comportamenti e atteggiamenti animali e sul rapporto delle specie tra loro e anche rispetto alla specie umana». Contributo, dunque, importante, arricchito da suggestive illustrazioni, da leggersi non di corsa, bensì, piuttosto, centellinandolo.
Franco Ferrarotti
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