Laura Corbu è un’autrice sarda che nella collana amaranto, curata da Piera Mattei, dedicata a diari, lettere e autobiografie pubblica la rivisitazione di una sua peculiare esperienza narrata con linguaggio morbido, talvolta quasi infantile, che ha riguardato il contatto profondo col disagio psichico. Sono diversi i motivi per cui ritengo di dover parlare di questo libro, posto che il solo fatto di raccontare un’esperienza personale non è mai il fattore di interesse di uno scritto. Va da sé che le vite umane sono dense di accadimenti o condizioni che potrebbe valere la pena condividere con altri, ma questo non è tutto. Quello che si cerca quando ci si avvicina ad un libro che ha a che fare con l’autobiografia, è sentire il rapporto tra scrivente, esistenza e forma che si dà all’esperienza attraverso la scrittura. In altri termini cerchiamo un affondo in una capacità dialettica. Non ci cattura la cronaca ma l’invenzione del vero che non tradisce la verità di quello che è stato ma la feconda con la narrazione. Il libro di Laura Corbu, porta la sua lingua, la sua attitudine esistenziale che non è inghiottita dall’evento drammatico costituito dal crollo psichico. Durante la lettura siamo noi a danzare tra spostamenti che la protagonista compie tra luoghi e spazi senza troppo sapere, sentendo sempre che stiamo camminando accanto a qualcosa che non ci è noto ma che è in agguato, come un leone in savana. Quello stesso animale che in forma di ombra prende sembiante danzante e perde così la sua potenza terrifica. L’autrice racconta per frasi precise e brevi che servono a disegnare una mappa su cui indicare vie pervie, montagne, luoghi non conosciuti, agglomerati urbani e rispetto ad ogni punto ci dice dove si trova lei e con un linguaggio morbido, semplice ma mai sciatto, a volte, come anticipato, con eco di infanzia cerca di farci entrare in quello spazio misterioso che stava tra lei e il resto del mondo. Credo che questo sia un aggregato del libro che valga tenere in considerazione, perché la condizione che va a soddisfare è quella del mistero di un’esistenza che improvvisamente cede, addirittura, come nel caso di questa narrazione, sotto il colpo di emozioni troppo complesse benché attese e lo fa sotto gli occhi di tanti che non paiono avere mai visto il pericolo incombente. Acquisire questa consapevolezza può terrorizzare, come quel leone acquattato, pronto a spiccare il balzo e allora è qui che il libro cattura nel creare una rete con cui impigliare la paura e liberare un’ombra che in forma felina, danza. Laura Corbu riesce spesso a essere ironica e nello stesso tempo a fare anche un lavoro testimoniale rispetto alle odierne condizioni di precarietà, direi anche sfruttamento in cui i giovani incorrono per il solo bisogno di affermare il legittimo bisogno di autonomia personale. Questo libro si mette al nostro fianco e non urla, non sparge rabbia ma neanche rassegnazione però esorta a non distogliere lo sguardo da un punto mirabile, quello del vivere quale unica espressione dell’esserci. Esorcismo della scrittura che non cura, non nega ma riporta gli umani ad un’accettazione di quello che ci accade e nello stesso tempo chiede la carezza dell’attenzione.
Mariella De Santis